Mostra di caricature su Luigi Pirandello negli anni Venti e Trenta
Tra i tanti modi di “illustrare” Pirandello ce n’è uno poco frequentato: quello di mostrarlo attraverso le immagini che umoristi e disegnatori hanno dedicato a lui ed alla sua opera. Umorismo e satira trovarono ottimo terreno negli anni del primo dopoguerra: una Italia scossa dalla crisi politica e in cui sarà instaurato un ventennale regime. Ma è anche un’Italia ricca di fermenti nel campo della cultura e del costume: un’Italia nella quale il teatro ancor contava. Il culmine della fama di Pirandello, tra gli anni Venti e Trenta, coincise con il periodo in cui la caricatura ebbe larghissima diffusione non solo sui fogli umoristici (che abbondavano) ma su quotidiani e periodici d’ogni genere. Conseguenza: una ricca messe di disegni che, più o meno scherzosamente, prendono di mira Pirandello e il suo teatro. Nel quadriennio 1925-28 i giornali sono stracarichi di vignette sul teatro d’Arte fondato a Roma da Pirandello, sui suoi rapporti con Mussolini, sulla sua primattrice Marta Abba. Si va dalle finissime tavole di Sto alle vignette di Onorato su “Il Travaso delle idee”, dalle stilettate di Bragaglia su “Index rerum virorumque prohibitorum” a quelle di Crespi su “Il becco giallo”, dai fumetti del “Bertoldo” agli schizzi di Manca e Girus sul “Guerin Meschino”. Per tacere di alcuni bellissimi disegni di Tabet sull’“Almanacco letterario” mondadoriano. Un settore a sé sono i disegni che, soprattutto su giornali stranieri, illustravano le cronache di spettacoli pirandelliani ritraendone gli interpreti. La mostra vuole essere una sfilata di volti e di situazioni, sospese tra cronaca ed arte, che ci riporta nell’atmosfera di una società letteraria scomparsa. Polemiche nate al caffè, sfide casalinghe, ironia tra nemici-amici. La vera satira s’affaccia raramente. Prevale lo scherzo, il giuoco condotto in un hortusconclusus non scevro di provincialismo. Ma a ben guardare l’iterazione di certi temi, massima l’insistenza su cerebralismo, contribuirono non poco a diffondere e ad accreditare l’immagine di un Pirandello “pirandellista” dalla quale invano lo scrittore tentò di liberarsi.